Non amo andare in centro, aborro la confusione delle strade nell’ora del passeggio, non mi piace guardare le vetrine.
Ma in pieno centro storico, ad un passo dalla centralissima Via Cavour gremita di vetrine e di folla, c’è una nicchia di pace: una viuzza stretta e tortuosa, lastricata di sampietrini sconnessi; i muri delle vecchie case, in mattoni satinati dal tempo; le inferriate in ferro battuto delle finestre da cui sgorgano in estate cascate di gerani; il sagrato di Santa Maria Maggiore; le rovine di Santa Croce.
E poi i maestosi lecci dalle cupe chiome che ombreggiano le antiche arche di pietra; l’imponente, solitario platano dal tronco maculato; le regolari ombrelle dei pini che schierati in fila fanno da fondale all’angolo più bello della città.
Su un lato della stretta viuzza un’alta cancellata racchiude l’armoniosa maestà della basilica di S. Vitale dietro la quale, in un angolo del prato ben curato, emerge il piccolo scrigno di mattoni del Mausoleo di Galla Placidia, che per l'estrema sua semplicità esterna non fa certo presagire la sontuosità della decorazione interna, dove esplode una gamma cromatica dominata da un blu indaco intenso, profondo come un abisso marino o come un cielo d’estate.
Neppure l’eterogeneo fluire dei turisti all’interno del complesso monumentale, riesce a turbare il senso di serena quiete che sa darmi questo frammento della mia Ravenna e la pacata emozione che suscitano in me queste secolari pietre.